venerdì 16 dicembre 2016
sabato 14 febbraio 2015
CONCEZIONE FUNERARIA DELLE TAVOLE
D’OFFERTA IN EGITTO,
NUBIA
e YEMEN
Maria Luisa De Gasperis
“ Consacra la Tavola d’Offerta e rispetta Dio
“ cosi’ inizia l’ “Insegnamento per Merikara”.
L’argomento di questo breve intervento si prefigge
di esporre la storia di alcuni manufatti
preposti ai culti funerari con particolare riguardo alle Tavole
d’Offerta, dalla loro comparsa sul suolo egiziano al loro diffondersi lungo tutta la Valle del
Nilo fino alle impervie cataratte della zona nubiana, l’antica Meroe, attuale
Sudan ma anche alla loro diffusione nei territori che si affacciavano sul
Mediterraneo.
Il
simbolismo che si “ legge “ su alcuni manufatti rinvenuti, fa parte del patrimonio
comune a tutti i popoli del bacino mediterraneo che hanno arricchito la cultura
umana partendo dagli antichissimi culti funerari attraverso un processo
speculativo determinando la purificazione dei molti elementi primitivi, per
raggiungere, nelle epoche storiche tarde, una unità di concetti tendenti a
ricomprendere tutti gli elementi in un unico rituale.
Questi
manufatti sono stati presenti dai primi
regni faraonici fino a quelli tardo-tolemaici e greco-romani ma la loro
propagazione ha rappresentato le commistioni e le influenze assimilate da tutte
le popolazione che si affacciavano sulle coste del Mediterraneo.
Le
Tavole d’Offerta ne sono un esempio molto significativo infatti venivano
collocate non solo all’esterno dei templi funerari ma anche all’interno delle
sepolture
rinvenute nelle più isolate propaggini dell’attuale territorio sudanese
e del Vicino Oriente Antico.
Poiché
si è sempre parlato di questi oggetti in maniera frammentaria, la scrivente ha
sentito la necessità di portare all’attenzione degli studiosi i materiali e
ricerche
da lei stessa effettuate per tracciare in maniera semplice una breve storia di
questo manufatto ed i motivi che, a mio
avviso, lo hanno reso importante ed essenziale per l’attuazione dei riti
funerari.
Bisogna
tenere presente inoltre che non solo in Egitto e nel Sudan questi manufatti
furono essenziali per il compimento dei culti funerari ma si sparsero anche in altri territori come
lo Yemen o la Tunisia rinvenuti
in contesti funerari ed in ambiti
templari.
Di
questo manufatto ci sono pervenuti moltissimi esemplari ma per una analisi
significante di questo singolare strumento di culto, è indispensabile partire
dal rapporto esistente tra la cultura egizia e la sua esperienza religiosa.
L’idea della Tavola d’Offerta è infatti
connessa al concetto dell’altare,
rappresentato sin dalla più remota antichità da una struttura rialzata,
generalmente posta all’interno della cappella funeraria, costituita da un unico
blocco rettangolare a volte preceduto da una piccola rampa di scale.
Considerata
come una sorta di altare trasportabile fu realizzato con materiali e forme diverse, concepito per
assicurare la congiunzione tra la vita terrena e quella desiderata dopo la
morte, tanto che nel pensiero antico, a mio avviso, essa rappresentava la
prosecuzione ed il mantenimento di alcune ritualità necessarie al defunto per
la sua esistenza dopo la morte, infatti le venne riconosciuto un valor magico
che si evince dagli amuleti , in forma di Tavole d’Offerta, di dimensioni
ridotte
e di epoche diverse, ritrovati accanto ai defunti, di cui una cospicua serie è
esposta nel Museo del Cairo, Egitto.
Infatti
compare non solo all’interno delle sepolture ma
anche lungo il perimetro esterno; ne sono state recuperate alcune all’interno
delle mura perimetrali delle sovrastrutture templari, durante gli scavi
eseguiti presso il cimitero 150 a sud del Tempio di es-Sebua, banco Ovest,
nell’Alto Egitto e presso Dangeil.
Questi
oggetti per lo più litici di forma quadrata o rettangolare rappresentavano
tutto quanto necessitava alla vita ultraterrena, soprattutto le immagini delle
divinità preposte al culto dei morti e alla loro protezione: l’offerta di cibi
e bevande che venivano decorate su di esse, in particolare l’acqua , rara e
preziosa, come elemento rigeneratore della vita, rappresentava il motivo
principale che induceva alla sua raccolta e conservazione che veniva realizzata con la costruzione di
laghi artificiali edificati accanto o all’interno di zone sacre templari.
Queste
acque considerate sacre, erano utilizzate per le cerimonie quotidiane in onore
delle divinità e dei funzionari venivano
preposti al compimento delle cerimonie liturgiche.
In
esse si riflette il significato di Lago Sacro che nelle Tavole d’Offerta che veniva rappresentato con delle scale discendenti che circondavano il bacino (lago)
scavato nel centro della lastra, contenente il prezioso liquido come si evince
da una di queste , rinvenuta ad Arminia
ed esposta nel Museo di Elefantina. Potevano
Poteva avere una forma ovale o a sgabello ma la maggior parte erano delle lastre
rettangolari o quadrate sulle quali era decorata una semplice stuoia
rappresentante il geroglifico “ hetep “
e sulla quale venivano poste tutte le offerte consacrate al defunto;
alcune volte le immagini erano decorate
sul piano con incisioni tanto eloquenti e naturali che il grande Andrè
Lhote (Lhote 1954: pagg.
43 e segg) le definì “ pittura a trompe l’oeil “ e riconobbe in
esse una diversa e più delicata lettura dell’arte egizia: una minuziosa ricerca
della rappresentazione della realtà, il vuoto incorniciato e definito,
costituito da un profondo incavo che riflette la concezione geometrica dei due
elementi: il pieno e il vuoto come rappresentazione del rapporto tra il reale e il trascendente.
Il
perimetro della lastra è percorso da un canaletto che termina in un “ beccuccio-versatoio” dal quale fuoriesce
il liquido sacro e le iscrizioni che vi sono decorate lungo il bordo o all’interno di esso, rappresentano la formula
d ‘offerta composta da invocazione, nominazione, ascendenza materna e paterna,
frase descrittiva.
Erano
determinanti le iscrizioni che inneggiavano a invocazioni e richieste di protezione poste lungo il perimetro della Tavola che
inizialmente erano in carattere geroglifico e successivamente in tarda epoca,
in meroitico, legata alla cultura e al regno dei Faraoni Neri di Meroe.
Esse
trasmettono una enfasi letteraria
attraverso la componente religiosa che ne diviene il fattore essenziale.
I testi che vengono incisi su di esse, offrono una
particolare interpretazione del mondo circostante, diventando non solo una
esperienza morale e religiosa ma anche uno
strumento per la realizzazione sociale, politica, economica del paese.
Pertanto, sia le decorazioni che le iscrizioni
hanno permesso di valutare le diverse culture che si sono succedute lungo la
Valle del Nilo e nei territori che si affacciavano sul Mediterraneo,
incontrandosi, adattandosi e talvolta
assorbendo le tradizioni autoctone.
Infatti,
il coagulo sociale e le variegate forme di vita determinarono motivazioni
religiose nelle quali si innestarono riti cultuali legati alle diverse
trasformazioni e metamorfosi ammirevoli
che riassumevano ogni forma di interessi,
associati all’avvicendarsi dei
periodi storici nei quali confluivano le influenze di tutte le
popolazioni che si affacciavano sulle coste del Mediterranee attraverso scambi
commerciali e culturali.
Alcuni
popoli che si erano stanziati nella zona, chiamata Meroe, nell’Alto Egitto, attuale Sudan, fra
la II^ e la VI^ cataratta, durante la 25^ Dinastia, lasciarono
consistenti vestigia costituite da
cimiteri e tombe reali con la
caratteristica forma piramidale ma di dimensioni ridotte rispetto alle grandi
piramidi dell’Antico Egitto.
Le
rappresentazioni decorate sulle Tavole descrivevano le offerte alimentari :
pani di varie forme, parti di animali, uccelli, pesci, pollame ma anche liquidi che erano
contenuti in vasi e brocche di forme diverse; le loro diversità servivano a figurare il liquido contenuto e i
riti per i quali venivano utilizzati
Alcuni di questi vini erano ricordati nei “ Testi delle Piramidi “ come quello
pregiato di Samen o quelli più ricercati di Hami e Nebesha.
L’esempio
più esemplificativo dell’importanza che la rappresentazione di queste alimenti
ha avuto per queste popolazioni si ritrova nelle elaborate Tavole d’Offerta
sulle quali sono incisi una moltitudine di cibi come si desume da un esempio di
una di esse, esposta nel Museo del Cairo.
Con
il trascorrere dei vari periodi storici esse assumono diverse iconografie e iconologie.
Nella
prima fase della loro apparizione, hanno la forma di “ Tavole-Bacini “, nella fase successiva del Medio Regno, riflettono il periodo classico
dell’arte egizia infatti sono molto
elaborate e cominciano ad illustrare attraverso la elaborata decorazione, un
più eloquente pensiero religioso.
Alcune
di queste rappresentazioni, incise su di esse, riflettono la loro essenzialità;
si ha un esempio nell’importanza che assume il pane e le sue variegate forme.
Questo
elemento sembra essere divenuto tanto
importante da edificare dei panifici appositi, con numerose persone preposte alla produzione
di questi tipi di pane destinato al re e alle offerte rituali durante i riti
funerari e che furono chiamati “ Casa
del Pane”.
Furono
così importanti che ne furono riprodotti dei
modellini in forme ridotte di argilla da inserire nel
corredo funerario del defunto e che si possono osservare
esposte nel Museo del Cairo.
Un
altro esempio esplicativo riguardante le Tavole d’Offerta deriva dalla scoperta
di cui parla la collega Cristiane
Desroches-Noblecourt (Deroches-Noblecourt 1980: 200), che riferisce:
“
………………….dei Sacerdoti di Iside, quando,
quotidianamente e condotti dalla stessa dea ogni dieci giorni – si recavano in
barca da File a Biga per offrire la libagione
a Osiride sulle 360 ( + 5 )
Tavole d’Offerta. che segnavano
l’ubicazione della sua tomba….”.
E’
interessante notare che il complessivo numero delle Tavole d’Offerta citate è
365 pertanto a mio avviso si può ipotizzare che altrettante fossero le offerte
riferite ognuna ai giorni che compongono l’anno.
Non
potendo parlare lungamente dell’argomento cercherò di evidenziare quegli
esemplari che rappresentano il passaggio importante ed eloquente delle sue
trasformazioni nell’ambito della sua storia.
Nel
1819, G.B.Belzoni (Belzoni 1988: 29 e sgg.) che esplorava il territorio lungo
la depressione del Fayum in direzione del lago Qàrum, visitò le piramidi di
el-Lahun e Hawara alla ricerca del celebre “ Labirinto “ descritto da Erodoto
che scriveva “…ma il Labirinto
vince il confronto anche con le Piramidi…” e Strabone “…certi viottoli lunghi …congiunti fra loro da
stradelle tortuose…” e per finire con Plinio il Vecchio “ … gran
numero di cortili e sale …camere sotterranee –consacrate al dio Sobek…”.
Nell’
interpretare le immagini rappresentate su queste Tavole: un serpente in
posizione eretta con il disco solare
sulla testa, simbolo di regalità, il
sandalo, l’ impronta di piede, si può dedurre e comprendere il sincretismo esistente e l’assimilazione profonda,
da parte di popoli di culture diverse, delle contaminazioni profonde e acquisite, dovute
non solo a scambi commerciali ma anche ad elaborazioni religiose, strettamente
legate ai templi e ai culti dell’Egitto
faraonico.
Nell’ampio
panorama che rappresentano le Tavole d’Offerta cercherò, visto il breve spazio
a disposizione, di esporre alcune che dimostrano alcune significative trasformazioni infatti ve ne
sono alcune in mostra al Museo del Cairo, che rappresentano delle divinità, degli
oggetti, degli animali scolpite a tutto tondo sulla base della
Tavola, a forma di Situla (Leclant 1994:
8 sgg.).
La
Situla, oggetto a forma di seno materno aveva il compito di contenente il latte,
alimento essenziale che la madre dona al figlio.
Un altro esempio
dell’importanza del culto per i defunti e della speranza, attraverso essi,
della continuità della vita oltre la morte, è in alcune Tavole d’Offerta esposte nel Museo del Cairo, conosciute come “ Case dell’anima “.
Esse vogliono rappresentare i luoghi e gli oggetti
della vita quotidiana reale vissuta nella
sua quotidianeità e simbolicamente
trasportata nel mondo del “
post mortem “ pertanto questi
manufatti di dimensioni ridotte, venivano
sepolti con il defunto per permettergli gli continuare a vivere come e dove
aveva vissuto nella sua vita terrena.
Con
esse anche alcune Tavole di terracotta rappresentanti elementi di vita reale.
Nella
complessità dell’ideologia religiosa molti miti e credenze avrebbero dovuto
escludersi a vicenda invece si incontrarono, innestandosi fra loro e creando un
sincretismo univoco.
Infatti
nelle Tavole d’offerta si congiunsero, diversificati in tempi e in luoghi dissimili, le immagini comprendenti un Pantheon di divinità e manufatti connessi a
cerimonie templari e funerarie.
La
più importante fra tutte è quella
del dio Anubis che fin dall’Antico Egitto era
preposto al controllo della pesatura dell’anima ma con il passare delle epoche
storiche, divenne una divinità offerente eletta all’offerta di libagioni sacre durante i riti funerari e
cultuali ricoprendo una importanza fondamentale nella religiosità egizia
dall’inizio fino al tardo periodo tolemaico greco e romano e le sue
rappresentazioni si riconnettevano alle raffigurazioni e descrizioni
del “ Libro dei Morti “.
Troviamo
anche la dea Iside, personificazione sacrale della dea salvifica e guaritrice.
Essa
aveva il compito di esaudire le
richieste dei sofferenti, vivificare la vita eterna, intercedere per i defunti,
come è dimostrato dalle invocazioni a loro dedicate, infatti a lei erano
dedicate le preghiere di rinascita ed eternità
Era
nominata spessissimo nei “ Testi delle Piramidi “, considerata paredra
di Anubis, pertanto essi venivano raffigurati, uno di fronte
all’altra, all’apice della Tavola mentre facevano offerte. (Yelling 1978: 227 sgg)
Iside, sorella e sposa di Osiride, identificato con l’acqua del Nilo
rigenerante e purificante poiché
“…….l’acqua
di Osiride vuol dire bere la sostanza stessa del Dio… fontana della vita che
dona
alle anime l’eternità…”
diviene
la personificazione sacrale della dea salvifica e guaritrice.
Mentre
nelle Tavole d’Offerta di Egitto e di Nubia, la religiosità è elevata
al bisogno di rinascita alla vita eterna, in quelle ritrovate in Yemen,
l’importanza era
data
dal liquido rappresentante la libagione purificatrice e necessaria per
perpetuare e ricordare la grandezza e la forza del personaggio nominato in cui
si ravvisa una sfera intellettuale profonda e l’esistenza di un forte
sentimento religioso, dimostrato osservando i manufatti decorati sulle Tavole
d’Offerta rinvenute in cui si possono riconoscere anche gli dei del
Pantheon Yemenita. (De Gasperis 2006: 179 sgg).
Possiamo
concludere che nel territorio orientale
che si affaccia sul Mediterraneo, le tradizioni più antiche dell’Egitto rimangono nella tradizione secolare che
esorta, come dicono i “ Testi dei Sarcofagi “ :
“ ……appellarsi
all’esistenza di templi e a fare offerte alle Tavole d’Offerta…….colui che sarà
unito all’eternità non sarà perduto….”.
Una
ultima prova dell’importanza di questo manufatto, oltre la sua presenza in
tutti i periodi storici e della sua produzione così diversificata, l’abbiamo in
una Tavola d’Offerta di grandi dimensioni, esposta al Museo del Cairo: essa rappresenta un grande Bacino a forma di
cartiglio, la cui manifattura la data
come opera della XXVI^ Din. in grano
diorite che è un materiale proveniente
dal territorio sudanese e la cui preziosità la fa ritenere un opera di
grandissima rilievo cultuale. (Leclant 1991: 227 sgg.)
Ancora
un’altra Tavola di forma trapezioidale
con stilizzato il geroglifico “ ANK “ e strettamente legato, dal
punto di vista iconografico e cultuale alla vita ultraterrena, quasi un “ gap”
di collegamento fra il periodo arcaico e
quello tardo meroitico, è esposta al
Museo di Asswan.
Essa
è decorata con iscrizioni in lingua
meroitica e su tutto il piano della lastra ha
scolpito il geroglifico “ ANK “, geroglifico che significa la
eterna continuità della vita oltre la morte: essa risale al periodo arcaico -2900 – 2770 a.c..
Un’ultima,
preziosa rappresentazione di una Tavola d’Offerta è esposta nel Museo del Bardo a Cartagine in Tunisia.
Su
di essa sono decorate le divinità mentre
si preparano al compimento del culto
funerario dedicato alla grande divinità del Pantheon greco- romano.
Pertanto,
a mio avviso, si può definire la Tavola d’Offerta, la dimostrazione reale di un
articolato Pantheon funerario e soprattutto un manufatto unico ed esplicativo nel suo significato cultuale,
manufatto che rappresenta di una vita nell’aldilà e un importante viatico per la salvezza e la continuità della
vita oltre la morte.
BIBLIOGRAFIA
Belzoni 1988: G. B.
Belzoni, Viaggio in Egitto e Nubia,
riedizione Verona 1988.
De Gasperis 2006: M. L. De Gasperis, From Egypt to Yemen: A brief note on the
Offering Tables, Institute of Oriental Studies, Russian Accademy of
Science, Moscow 2006, Vol. 3.
Deroches-Noblecourt
1980: C. Deroches-Noblecourt, L’Egitto
del crepuscolo: arti di metamorfosi, Paris 1980.
Leclant 1991: J.
Leclant, I Faraoni, Arte meroitica,
Paris 1991.
Leclant 1994: J. M. Leclant, Anat propos; l’eau vivificant dans l’Egypt ancienne, Paris 1994.
Lhote 1954: A. Lhote, La peinture egyptiene, Paris 1954.
Yelling 1978: Y. Yelling, The Role of Anubis in Meroitique Religion, Cambridge 1978.
L'Affresco di Raffaello
L’AFFRESCO DI RAFFAELLO |
L’AFFRESCO DI RAFFAELLO NELLA CHIESA DI SANT’AGOSTINO A CAMPO MARZIO ROMA
Questo dipinto fu commissionato a Raffaello dal protonotaro apostolico lussemburghese Johan Goritz – italianizzato in Giovanni Goricio –il quale, anche se in giovane età, era già famoso per il ciclo di pitture nella “Stanza della Signatura” in Vaticano. L’Affresco del Profeta Isaia fu eseguito da Raffaello tra il 1511 ed il 1512. Nello stesso periodo Michelangelo aveva terminato gli Affreschi della Cappella Sistina e Raffaello allora molto giovane, studiò questi affreschi e ne rimase molto colpito infatti nella immagine, nell’atteggiamento e nella potenza vigorosa che traspare dal dipin to , si ravvede il tocco vibrante e il colore vivace e denso di Michelangelo. Raffaello fu pagato un prezzo altissimo dal Goritz per l’affresco e egli se ne lamentò con Michelangelo il quale gli rispose che solo il “ ginocchio “ , valeva quel prezzo.
L’Affresco subì le ingiurie del tempo , basti ricordare il gesto dissennato che compì un sagrestano il quale, lo lavò oltraggiandolo con sbiaditure tanto che uno studioso d’arte, il Celio, nel 1638, ne ricordò l’episodio nel suo scritto “ Pitture…. in Roma , 1638 “, sottolineando la necessità di un restauro che fu eseguito –da Daniele Ricciarelli, nato a Volterra nel 1509 e per questo nominato Daniele da Volterra, morto a Roma il 1566, allievo di Michelangelo; egli in seguito fu ricordato con il nome di “ Braghettone “ per avere “ dipinto “ sui nudi della Sistina delle “ braghe “. Nel 1960 fu effettuato un restauro che asportò le ridipinture ad olio e le rielaborazioni a tempera ed acquerello che furono eseguite in varie epoche.
L’0pera si trova nel terzo pilastro della navata maggiore; il Profeta Isaia è raffigurato in trono fra due putti che reggono una targa sulla sua testa. Un festone, sul quale si legge la dedica in greco:
“ A Sant’Anna, madre della Vergine, alla Santa Vergine, Madre di Dio, a Gesù Salvatore, Giovanni Goritius “. Il Profeta regge una pergamena che stende fra le mani nella quale si legge in caratteri ebraici, un passo del libro di Isaia che enuncia : “ Aprite le porte onde il popolo che crede entri…..” ( XXV, 2 ). Guardando l’opera si nota lo sguardo malinconico dolce e colmo di un richiamo carico di fede che invita coloro che lo osservano ad entrare e credere nella luce del Signore.
La torsione della figura ricorda il movimento avvolgente che si legge nelle immagini di Michelangelo e nella simmetria della sua rappresentazione si nota il busto esuberante sotto il manto ondulato dal quale esplode la muscolatura possente evidenziata della accurata descrizione pittorica dei muscoli del braccio e del ginocchio quasi a voler trattenere una forza interiore pronta a dilagare. I panneggi morbidamente adagiati sulla figura e cadenti lungo il basamento sembrano avvolgere il Profeta in una spaziosità voluminosa e morbida resa non solo dai colori solari e corposi ma dal contrasto che accentua il vigore e la monumentalità dell’affresco. Il velo sfuma dall’indaco al rosa, al giallo quasi a volersi fondere con l’ocra del drappeggio appoggiato sulla base marmorea così da mettere in risalto ogni particolare della grandezza e della sacralità del suo messaggio.
Davanti a questo affresco doveva essere collocato un gruppo scultoreo rappresentante “ Sant’ Anna, la Vergine e il Bambino “ di Jacopo Tatti detto il Sansovino, nato a Firenze nel 1486 e morto a Venezia nel 1570; si ricorda che Sant’Anna era la protettrice del committente. Attualmente il gruppo è stato posto sotto l’affresco.
Prof.ssa Maria Luisa de Gasperis |
venerdì 25 gennaio 2013
I sotterranei del Colosseo
ARTE SACRA |
“Sotterranei“ del Colosseo A cura di Maria Luisa De Gasperis
Quando salì al potere l’Imperatore Vespasiano, sentì che era
necessario per dimostrare la sua autorità e la sua grandezza, edificare una
struttura che potesse essere ricordata per centinaia di anni perciò fece
iniziare la costruzione dell’Antiteatro
Flavio. Perché ciò
potesse iniziare fu necessario prosciugare il laghetto della “Domus Aurea“ di Nerone e successivamente iniziare a
costruire le fondamenta che furono fatte in calcestruzzo romano. La platea della fondazione ebbe la forma di una
ellisse a corona ma soprattutto fu dotata di uno spessore di circa tredici metri
ma la cosa più straordinaria fu quella che all’interno di questa enorme
realizzazione, gli ingegneri romani, fecero passare una infinità di canali che
consentivano il deflusso delle acque piovane e di acque di falda.
Dopo si provvide ad innalzare la parte alta del
monumento fino a raggiungere con l’interramento delle aree circostanti il
livello della piazza come è attualmente Tutta la superficie venne poi
pavimentata.
I tavolati della superficie
poggiavano su una serie di muri paralleli, nei quali vennero ricavati gli
alloggiamenti degli ascensori che da quello che ci descrivono gli autori
antichi, venivano utilizzati per trasportare le belve e i
gladiatori.
Quattro corridoi che erano stati aperti lungo gli assi dell’edificio, portano ai sotterranei del Colosseo che erano illuminati dalle torce e dalle lampade ad olio. Attraverso questi passaggi era pertanto possibile accedere a tutti gli ambienti anche con i carri. Nelle aree ubicate al nord ed al sud si possono ancora vedere le zone ipogee attraversate da grandi corridoi che avevano anche il compito di ospitare dei grandissimi argani fatti funzionare a mano e che dovevano servire a mettere in attività gli ascensori, i piani inclinati che ruotavano e gli scenari.
Ancora adesso si possono vedere
delle grosse borchie di bronzo che dovevano contenere gli assi rotanti delle
macchine per manovrare tutto questo apparato scenico. Il “Ludus Magnus“ cioè la “caserma dei
gladiatori“, era collegata attraverso i sotterranei del Colosseo al
criptoportico ubicato nell’area a nord dove erano situati una serie di edifici
addetti ad abitazioni che si aprivano su un cortile e una palestra scoperta di
forma ellittica, una sorta di anfiteatro in miniatura.
Dal palco dove prendeva posto
l’Imperatore, una scaletta portava fino ai sotterranei che consentivano il
collegamento diretto con il trono imperiale dal quale si poteva assistere agli
spettacoli.
Da questo corridoio ne partiva un secondo, di tipo ipogeo, che era illuminato da alcuni lucernari che in origine avevano un rivestimento in marmo e con una volta decorata con stucchi dipinti e serviva agli Imperatori per entrare senza essere visti.
Prof.ssa Maria Luisa De
Gasperis
|
venerdì 4 maggio 2012
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